Pearl Jam, Ten
1991, Epic Associated, Sony Music
Copertina: Jeff Ament (Art Direction), Lance Mercer (foto)
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La copertina dell’album ritrae i cinque membri della band all’epoca delle registrazioni in una posa di gruppo e in piedi di fronte a un ritaglio di legno con il nome “Pearl Jam”. Lo sfondo è stato realizzato dal bassista Jeff Ament. Il bassista ha affermato: «L’idea originale era di stare insieme come gruppo ed entrare nel mondo della musica come una vera band… una sorta di patto tutti-per-uno». Ament è accreditato per la copertina e la direzione artistica dell’album. Ha anche aggiunto: «Ci fu un po’ di sbattimento con il dipartimento artistico della Sony in quel momento. La versione che tutti conoscevano come copertina di Ten era rosa mentre originariamente era stata pensata più di un colore bordeaux e l’immagine della band doveva essere in bianco e nero».
Il nome originale dei Pearl Jam era stato preso dal giocatore di pallacanestro Mookie Blaylock. Venne cambiato dopo che la band firmò con la Epic Records, dal momento che i dirigenti discografici erano preoccupati per la proprietà intellettuale ed i diritti di denominazione in seguito all’accordo di sponsorizzazione stipulato da Blaylock con la Nike. Per ricordare il nome originale della band, il gruppo ha intitolato il suo primo album Ten come il numero di maglia del giocatore.
L’autore dello scatto di copertina è Lance Mercer, bravissimo fotografo di Seattle che ha immortalato i protagonisti della scena grunge cittadina fin dai suoi inizi con Mother Love Bone e Malfunksion. Questo artista predilige la purezza del bianco e del nero, e anche per questa cover colorata, in qualche modo prevale una forma di monocromatismo: un’unione di corpi, una macchia ombreggiata su un fondo colorato, nessuno dei musicisti si vede in faccia. Non ci sono individui ma solo un gruppo, al centro dello spazio. La scelta dei colori per le gigantesche lettere delicatamente rosate e per il muro rosso dietro di esse, sembra un richiamo alla psichedelia, a quelle atmosfere Anni’70 che emergono nelle canzoni e che hanno fortemente impregnato una certa ala del genere “grunge” impastandosi con le influenze garage e punk.
All’origine del nome Pearl Jam, “marmellata di perle”, pare ci sia una bisnonna di Eddie Vedder, Pearl, la cui specialità era fare la marmellata di…peyote. Il look per i Pearl Jam nella fase iniziale, riflette il senso del nome del gruppo: abbigliamento sapore hippy, capelli lunghi, abiti variopinti, molto free, ma con tocchi punk.
Quell’immagine del gruppo che si dà il cinque richiama alla mente da un lato il “tutti per uno, uno per tutti” dei Tre Moschettieri; l’insieme che non è solo la somma dei suoi componenti e la cui forza deriva dall’unione, ma anche una voglia di avventura dal sapore infantile. Altra immagine che viene alla mente è quella del famoso monumento che raffigura i marines che alzano la bandiera americana dopo la battaglia di Iwo Jima nella Seconda Guerra Mondiale, anche perché in effetti la composizione dei corpi sulla copertina del disco riporta davvero ad un gruppo scultoreo.
E anche questo è un marchio di Lance Mercer, del suo stile candido, nitido come il marmo a suggerire innocenza, purezza; il mood perfetto da creare per il lancio di una band emergente.
Federica Vitelli da: www.artovercovers.com
Lance Mercer (Seattle, 1966)
Sito: lancemercer.com
“Ero coinvolto nella scena punk di Seattle e ho capito presto che se avessi avuto una macchina fotografica, probabilmente sarei riuscito ad arrivare ai concerti più facilmente e da vicino che senza. Non dovevo essere Ansel Adams per scattare fotografie. Non dovevo essere un mago della tecnica. Lo stesso tipo di ethos che avevano musicalmente i Ramones, potevo applicarlo alla fotografia.”
Lance Mercer
Negli ultimi due decenni, è diventato sempre più difficile sfogliare importanti pubblicazioni musicali o album in un negozio senza imbattersi in un’immagine iconica e sbalorditiva dell’ispiratore Lance Mercer.
Nato e cresciuto a Seattle, Mercer ha iniziato a documentare nella sua prima adolescenza la scena punk, così come la vita con i suoi amici e le loro band: individui unici che sarebbero poi diventati le voci dietro uno dei movimenti musicali più importanti del Pacifico nord-occidentale. All’avanguardia visiva nel raccontare il suo magnifico, concreto ed egualitario zeitgeist, Mercer ha impiegato la sua intuizione istintiva per catturare anime vulnerabili, l’occhio attento per composizioni brillanti e la sua compassionevole umanità per guadagnarsi la fiducia di cuori diffidenti, immortalando per sempre una visione rivoluzionaria – la cui tragica visione non è più tra noi – nei suoi scatti devastanti, gloriosi, senza pretese e spesso calorosamente sinceri.
Pienamente consapevole della sua vocazione fin da piccolo, ha iniziato a studiare fotografia all’età di 17 anni. Dopo essersi laureato in fotografia commerciale, è diventato fotografo freelance a tempo pieno nel 1991. Affascinato dalla vita del musicista e dal rapporto simbiotico tra artista e fan, che ha cambiato per sempre la storia della musica e delle persone di Mercury. I suoi soggetti dinamici spaziavano da appassionati punk da scantinato a personaggi carismatici che alla fine formarono band come Malfunkshun, Mother Love Bone, Screaming Trees, Soundgarden, Mudhoney, Alice in Chains e Pearl Jam. Mercer fu invitato in tournée con i Pearl Jam dal 1992 al 1995 come fotografo ufficiale e, grazie a questo accesso senza pari, catturò alcuni dei momenti più intimi e inebrianti di una delle band più riservate al mondo.
Da allora ha pubblicato due libri dedicati a questo periodo: una retrospettiva con il collega fotografo di Seattle, Charles Peterson, intitolata Place/Date (1997), e 5X1: Pearl Jam Through the Eye of Lance Mercer (2007). Oggi, Mercer rimane un ricercato narratore visivo, applicando il suo talento nel mondo della musica, dell’editoria e della pubblicità, nonché nella produzione, regia e riprese di progetti documentaristici. I suoi lavori continuano a essere pubblicati ed esposti a livello locale e internazionale.
Charina Pitzel da: lancemercer.com

