Stella Diana
“57”
Vipchoyo Sound Factory (IT)
Siete Señoritas Gritando (ES)
I veterani del dreampop italico tornano con l’atteso successore di Nitocris (2016), che aveva ispirato recensioni entusiastiche. Con cinque album all’attivo, sono considerati una delle band shoegaze più interessanti, grazie al loro finissimo songwriting, unito a parti ritmiche ipnotiche e chitarre maestose e stratificate. Sono riusciti a costruirsi una fanbase internazionale di tutto rispetto nonostante il cantato esclusivamente in italiano fino al 2015; pur continuando ad esplorare nuove frontiere soniche, il loro stile rimane immediatamente riconoscibile.
Inoltre, hanno in un certo senso precorso, e tuttora sono il faro del c.d. movimento Italogaze, che include band come Clustersun, Rev Rev Rev, In Her Eye, Electric Floor e Novanta. Non è certo un caso che la suggestiva ‘Do Androids’ includa chitarre di Sebastian Lugli dei Rev Rev Rev.
In questo nuovo album 57 ogni canzone è stata composta con la libertà più totale, senza pressione e senza schemi, cercando di creare un suono sognante, delicato ed irreale. Onirico come i testi, testi più ermetici e usati solo come un colore in più in ogni canzone, anche se, in genere, quello che descrivono è sempre la solitudine e l’incomunicabilità tra le persone.
Gli Stella Diana, che prendono il nome dall’antica denominazione del pianeta Venere (Stella del mattino), si sono formati nel 1998 a Napoli per iniziativa di Dario Torre (voce e chitarre) e Giacomo Salzano (basso), raggiunti poi da Giulio Grasso alla batteria. Riescono a mettere insieme gli strati di chitarre riverberate di Ride e Lush, le atmosfere dark wave di Bauhaus e Joy Division, e strutture new wave reminiscenti di Echo And The Bunnymen e The Chameleons.
Ma gli Stella Diana non sono certo una mera somma delle proprie influenze. Come ha scritto Riccardo Cavrioli di Indie-Roccia, la band “sa anche mescolare e fondere stili e suggestioni, rendendo il tutto fortemente personale”.
In coerenza con I loro forti principi DIY, anche 57, come in passato, è stato registrato, prodotto e missato dal bassista Giacomo Salzano insieme a tutta la band, nel proprio studio di registrazione, per avere il controllo totale sulla propria musica. L’ossessione per la semplicità è presente nella grafica della copertina. Un numero rosso sangue su una tela nera, ma un numero che non è immediatamente chiaro, sembra quasi un segno, un graffito o qualcosa di antico.
“…il prodotto di punta di un rinascimento italiano dream pop.” [Rockit]
“Si potrebbero fare mille richiami: Cocteau Twins, Chapterhouse, Slowdive, Lush, Ride… ma il bello di “Nitocris” è che va ben oltre il semplice paragone, perchè la naturalezza e la maestosità con le quali gli Stella Diana costruiscono il loro personale mondo onirico sono abbaglianti. Fieri di loro.” [Troublezine]
Laura Iacuzio
Kool Things PR